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"Proliferazione degli ibridi di cinghiale, aree protette vittime al pari di agricoltori e cittadini"

Irsuti killer a Cefalù (parco delle Madonie). L'intervento del presidente di Federparchi Giampiero Sammuri: "Vulnus normativo. Seguire percorsi scientifici"

( 09 Agosto 2015 )

di Giampiero Sammuri  

 La morte di un anziano, provocata dall’aggressione di un suide, vicino a Cefalù, all’interno del Parco regionale delle Madonie ripropone la questione del controllo e contenimento di questi animali, che in alcune aree italiane sono indubbiamente in sovrannumero. Tra queste il comprensorio del Parco delle Madonie dove da tempo proliferano gli ibridi, incroci tra maiali inselvatichiti e cinghiali. Posso testimoniare che più volte al legislatore è stato chiesto di assumere provvedimenti ad hoc, a cominciare dagli abbattimenti selettivi. Sono d’accordo con il presidente del Parco delle Madonie Pizzuto: il parco, nel caso di specie, mi pare una vittima del problema, al pari degli agricoltori e dei cittadini che subiscono danni. Ogni giorno leggo articoli provenienti da tutt'Italia sul problema dell'abnorme presenza di cinghiali, chiamando spesso in causa le aree protette. Per oltre 30 anni, a Siena e in Maremma, mi sono occupato professionalmente di gestione del cinghiale. Si dice che qui si cresca allevati a pane e cinghiale ed è abbastanza vero se si pensa che un secolo fa il cinghiale in Italia era presente in pochissime zone, tra cui la Maremma e che il cinghiale originario dell'Italia peninsulare è stato per molti anni denominato maremmano. 

    Per questo mi è insopportabile vedere che, speculando sulla forte pressione a cui sono sottoposte le aree protette sull'argomento, una serie di azzeccagarbugli sciamino come api sul miele, proponendo soluzioni per la gestione del problema. Spesso persone che, quando va bene, lavorano presso qualche università essendosi occupati fino al giorno prima di tutt'altre cose o specie animali e quando va male invece hanno interessi più o meno legittimi sull'argomento. In realtà per gestire il problema le cose da fare sono chiare e ampiamente sperimentate, anche se a volte difficili da attuare se non si segue la strada giusta. Tra il parco del quale sono stato presidente fino al 2012 (Maremma) e quello del quale sono presidente ora (Arcipelago toscano) ogni anno vengono prelevati quasi 2.000 cinghiali. Cinghiali veri, selvatici e smaliziati, non gli ibridi con il maiale o quelli che vengono a razzolare vicino ai cassonetti dei paesi. Oggi più che mai, quindi, bisogna avere la pazienza di inquadrare il problema e seguire la scienza. Vedo infatti con terrore il rischio che il  sistema delle aree protette italiane possa scivolare sulla buccia di banana dei cinghiali.

ECCO DI SEGUITO UN RECENTE INTERVENTO DI SAMMURI CHE INQUADRA LA PROBLEMATICA

Il Cinghiale nel mondo

Il Cinghiale originariamente presente in Europa, Asia e NordAfrica è stato introdotto dall'uomo tra il 1500 ed il 1700 in nord e sud America e in Australia oltre che in numerose isole. La sua capacità adattativa, la sua alimentazione estremamente varia hanno consentito alla specie di espandersi velocemente e di ottenere incrementi numerici impressionanti, anche in luoghi dove non era mai esistita. Anche nel suo areale originario, dopo un consistente decremento dal medioevo fino a metà del secolo scorso, ha cominciato a recuperare territori dai quali era scomparso e a colonizzarne di nuovi, anche grazie a introduzioni. Oggi l'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), la più importante organizzazione di conservazione della natura del mondo, attraverso il suo gruppo di studio sulle specie invasive (ISSG) ha inserito il cinghiale tra le 100 specie invasive più dannose del mondo.

Il Cinghiale in Italia

Agli inizi del secolo scorso il cinghiale era presente in poche zone d'Italia (Maremma Tosco-laziale, Gargano, Abruzzo, Appennino Calabro-Lucano, Sardegna). Dagli anni '50 il cinghiale si è grandemente esteso ed oggi, salvo alcune aree della pianura padana, della Alpi orientali, e del Tavoliere pugliese è presente praticamente in tutta la penisola. Le motivazioni di questo notevole incremento sono varie: le introduzioni fatte speso utilizzando cinghiali di origine centro-europea, più grandi e prolifici, la riduzione sistematica dei predatori e del Lupo in particolare, che ha toccato il suo minimo di presenza negli anni '70, l'abbandono dell'allevamento e dell'agricoltura nelle zone alto-collinari e montane che ha da una parte ha fatto riguadagnare al bosco aree prima utilizzate per pascolo o coltivazioni, dall'altra ha reso disponibili risorse alimentari in precedenza utilizzate dagli animali domestici. L’incremento del Cinghiale ha prodotto ingenti danni alle colture agricole, causando un conflitto sociale a in alcuni casi molto aspro e la necessità da parte dei soggetti pubblici preposti di erogare indennizzi consistenti. Parallelamente, l'espansione del Cinghiale ha determinato la diffusione su tutto il territorio nazionale della caccia al cinghiale, prima patrimonio esclusivamente delle zone di origine. La progressiva riduzione della consistenza di altre specie cacciabili ha inoltre contribuito a far concentrare le attenzione e l'interesse venatorio sul Cinghiale. Altro fenomeno non trascurabile è stato l'aumento di incidenti stradali per collisione con cinghiali, con ulteriori gravi ripercussioni di tipo sociale ed economico.

Motivazioni per un piano di gestione del Cinghiale ed in particolare per un suo controllo (riduzione numerica)

Il Cinghiale è una specie che ha grandi capacità di accrescimento numerico ed in habitat favorevoli, soprattutto in ambiente mediterraneo, quindi in gran parte dell'Italia, questa prerogativa è molto accentuata. La semplificazione degli ecosistemi e la scarsa presenza di predatori ne favorisce la produttività e l’espansione. È chiaro che, con questo quadro, i danni all'agricoltura, con il conseguente conflitto sociale e gli oneri a carico delle amministrazioni per gli indennizzi, non possono che avere un peso molto importante. Un ulteriore elemento di attenzione soprattutto nelle Aree Protette, ed in genere sottovalutato, è il danno alla biodiversità, sia per ciò che riguarda la flora, sia la fauna. Il Cinghiale è infatti un formidabile utilizzatore di tutto ciò che è disponibile dal punto di vista alimentare. Vegetali e piccoli animali terrestri (invertebrati, anfibi, rettili, piccoli mammiferi e nidiacei o uova di uccelli che nidificano a terra) sono in maniera più o meno consistente consumati o disturbati. Inoltre per la mole e per il comportamento alimentare e di ricerca del cibo, la specie spesso danneggia anche vegetali che non mangia ma che vengono distrutti. Una delle motivazioni più urgenti e consistenti rispetto alle quali le aree protette devono intraprendere attività di gestione del Cinghiale è rappresentato proprio dagli impatti sulla biodiversità che le aree stesse sono chiamate a salvaguardare.

Motivazioni specifiche nelle aree protette

Nelle aree protette alcune le motivazioni per il controllo numerico che sono valide su tutto il territorio sono ulteriormente accentuate per una serie di motivazioni. 1) Nelle aree protette la caccia è vietata - Questo non solo determina che in quell'area non venga ridotto il numero dei cinghiali, ma crea un effetto "spugna" per cui nel periodo di caccia i cinghiali si rifugiano all'interno delle aree protette. Ovviamente questo fenomeno è tanto più accentuato quanto l'area protetta è piccola. Dato che l'attività venatoria si svolge nel periodo novembre-gennaio, immediatamente prima del principale periodo riproduttivo del cinghiale, vengono favorite le nascite all'interno dell'area protetta il che determina un incremento immediato e deciso della consistenza primaverile che coincide con la riproduzione di tutte le altre specie e con la fase vegetativa più importante di molte piante, incrementando quindi l’impatto sulla biodiversità. 2) nelle aree protette sono presenti specie animali e vegetali rare o di particolare interesse in numero maggiore rispetto al resto del territorio - E' chiaro che se, ad esempio, un area protetta è stata istituita anche per la tutela di una stazione di orchidee rare e per la presenza di una specie di uccello di interessa comunitario che nidifica a terra, il potenziale danno del cinghiale è molto maggiore. Questo aspetto è ancora più evidente e critico in presenza di siti Natura 2000 che sono stati istituiti in funzione della presenza di specie di interesse comunitario.

Metodologie per la gestione del cinghiale nelle aree protette

Per la gestione del cinghiale ai fini del contenimento dei danni alla biodiversità e all'agricoltura si possono intraprendere due tipi di azioni: la prevenzione per la riduzione del danno e la gestione della specie attraverso il controllo numerico. La prevenzione si basa sull’impiego di strutture protettive (recinzioni) o su elementi dissuasivi (sostanze maleodoranti). Le prime sono molto più efficaci delle seconde, ma entrambe hanno maggiore efficacia quanto più l'area da tutelare è piccola. È chiaro che per superfici piccole in presenza di colture molto pregiate o elementi di elevata biodiversità puntuale può avere un senso una recinzione. Per grandi estensioni, e, nel caso della biodiversità, per specie con areale diffuso a scala locale, le recinzioni oltre ad essere antieconomiche nel rapporto costi-benefici presentano anche altre evidenti controindicazioni, come ad esempio quelle di carattere paesaggistico e, in taluni casi costituiscono delle barriere indesiderate per altre specie. Inoltre le recinzioni favoriscono l’incidenza del danno sulle aree più facilmente frequentabili con evidenti incrementi dell’impatto. In definitiva in un piano di gestione corretto vanno valutate anche le forme di prevenzione più efficaci e che variano a seconda del territorio interessato. I programmi di gestione della specie finalizzati al controllo numerico delle popolazioni presenti, se condotti ad una scala adeguata rappresentano di certo la tecnica più efficace di riduzione dell’impatto. È infatti palese che il controllo numerico è la misura di riduzione del danno più incisiva perché, una recinzione protegge un'area ben precisa, ma il cinghiale che trova quell'area interdetta rivolgerà la sua attenzione e si alimenterà a danno di altre superfici, mentre ogni cinghiale rimosso dal territorio corrisponde ad una riduzione netta del danno a scala locale.

Molte delle tecniche per il controllo del Cinghiale possono essere applicate allo stesso modo sia all'interno sia all'esterno delle aree protette. In queste ultime però una regola che è fondamentale per tutte le operazioni di controllo faunistico assume un'importanza ancora maggiore: intervenire solo sulla specie target arrecando il disturbo minimo possibile a tutte le altre specie presenti. Inoltre nelle aree protette c'è spesso presenza di visitatori e le operazioni vanno condotte in modo che la normale fruizione non ne venga in qualche modo danneggiata. Per ottenere riduzioni consistenti delle popolazioni di Cinghiale, lo strumento più efficace è sicuramente quello delle catture. Oltretutto, se ben gestita l'attività di cattura è anche poco invasiva e non crea particolari problemi alle altre specie. L'abbattimento in natura, se condotto da personale specializzato ed appositamente addestrato, può essere una valida attività di supporto alle catture, perché, anche se non garantisce grandi numeri, consente di intervenire in modo più mirato, immediato e libero rispetto alle catture che comunque richiedono la predisposizione di infrastrutture e la loro gestione. In estrema sintesi: con le catture si fanno i prelievi consistenti e con gli abbattimenti si fa il lavoro di "rifinitura" finale. Chiaramente è buona regola, anche nel caso degli abbattimenti selettivi l'utilizzo, nelle aree protette, di quelle tecniche che riducano al minimo il disturbo alle altre specie. In questo senso va prevalentemente utilizzata la tecnica di abbattimento da appostamento fisso, mentre va sempre esclusa quella della braccata o girata con cani. In definitiva le tecniche di controllo sono ampiamente sperimentate, efficaci e di facile utilizzo.

Gestione sociale e rapporti con gli stakeholders

La gestione sociale e degli aspetti di comunicazione nonché i rapporti con gli stakeholders sono la vera criticità nella gestione del cinghiale: interessi vari, approcci emotivi, scarse conoscenze scientifiche e disinformazione rendono la gestione sociale e politica molto problematica. I vari soggetti interessati rappresentano tutti minoranze all'interno della società italiana, ma spesso sono fortemente motivati e capaci di azioni eclatanti e di una buona capacità comunicativa.

Cacciatori

Il pensiero più ricorrente tra non addetti ai lavori ed anche tra molti agricoltori è che i cacciatori siano alleati per la riduzione della densità dei cinghiali. Questa convinzione deriva dal fatto che si pensa che uccidendo cinghiali se ne riduca conseguente il numero. Questo in parte è vero, ma viene trascurato un elemento fondamentale e cioè che i cacciatori, sotto certi aspetti anche legittimamente, hanno sì interesse ad abbattere un gran numero di cinghiali, ma non hanno nessun interesse che nel tempo diminuiscano. Ad esempio: se una squadra di caccia al Cinghiale in una stagione venatoria abbatte 100 cinghiali, la sua aspettativa per l'anno successivo sarà di abbatterne almeno altrettanti e questo è possibile solo se la densità non scende. Ci sono numerose tecniche di gestione venatoria per favorire l'incremento di cinghiali, sulle quali per brevità non ci si dilunga. Per questo, molti cacciatori contrastano in modo più o meno evidente interventi che producano una effettiva riduzione dei cinghiali, anche all'interno delle aree protette perché grazie all'effetto “spugna” queste di fatto rappresentano dei serbatoi per le zone circostanti dove si svolge l'attività venatoria. Tutto questo non esclude che cacciatori possano essere coinvolti in attività di controllo all'interno delle aree protette, rappresentano una mano d'opera a basso costo (anzi gratis).  Adeguatamente formati, coordinati e controllati i cacciatori possono essere un valido ausilio nelle operazioni di abbattimento.

Ambientalisti

Le associazioni ambientaliste più strutturate nei loro vertici nazionali sono consapevoli dei danni che il cinghiale in numero eccessivo può fare alla biodiversità, per cui in misura maggiore o minore condividono l’esigenza che si facciano interventi di controllo. Queste stesse associazioni devono spesso fare i conti con le loro strutture periferiche locali e di base che, spesso molto meno informate, hanno un atteggiamento che si sovrappone un po' a quello animalista e quindi possono esprimere delle contrarietà a riguardo. In più, talvolta prevale un atteggiamento ideologico per cui gli abbattimenti possono andare bene purché non li facciano i cacciatori, ma soggetti pubblici come guardaparco, corpo forestale, polizia provinciale etc.

Animalisti

Gli animalisti per loro impostazione ideologica rifiutano sia catture che abbattimenti. Consapevoli (almeno alcuni) del problema che può essere creato dall'eccessiva presenza di cinghiali propongono spesso come soluzione la sterilizzazione. Questa pratica, largamente diffusa per gli animali d'affezione (cani e gatti in particolare), è poco sostenibile da un punto di vista economico. Con le tecniche oggi a disposizione per attuare questa soluzione si dovrebbe prevedere, successivamente alla cattura, la sterilizzazione dei vari soggetti con interventi veterinari di varia natura ed il rilascio successivo in natura. Un animale sterilizzato ovviamente non si riproduce, ma continua a danneggiare, cosa non trascurabile per una specie relativamente longeva, invece se viene rimosso del tutto il suo impatto si riduce a zero. Cosa diversa sarebbe se in futuro venisse messa a punto una tecnica di sterilizzazione per via orale, sufficientemente selettiva da non far correre il rischio di agire negativamente su specie di interesse conservazionistico. In tal caso la cosa sarebbe poco dispendiosa e molto efficace, basterebbe, in questo caso, foraggiare la specie con alimenti specifici per ottenere un sicuro risultato a medio termine. Ci sono sperimentazioni in tal senso in varie parti del mondo, particolarmente in Gran Bretagna, ma allo stato attuale, non è prevedibile un impiego di questa tecnica in tempi brevi.

Agricoltori

Sono la categoria che più direttamente subisce danno dalla presenza eccessiva di cinghiali. È ovvio che, dal loro punto di vista, più è ridotta la presenza di Cinghiale e meglio è. Talvolta l'agricoltore rappresenta anche altre categorie (ambientalista, animalista, cacciatore) e quindi le posizioni possono essere anche varie e discordanti, ma in linea di massima prevale, per lo meno per ragioni di tipo economico la posizione di agricoltore. Fino a qualche anno fa era molto diffusa negli agricoltori la convinzione che i cacciatori potessero essere grandi alleati per la riduzione del cinghiali. Spesso veniva data responsabilità al divieto di caccia nelle aree protette per l'eccessiva presenza di cinghiali. Più di recente le cose sono cambiate e molti agricoltori hanno capito che gli interessi sulle densità dei cinghiali tra loro e i cacciatori sono contrastanti.

Cinghiali in una radura
Cinghiali in una radura
 
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